L’articolo 1 della nostra costituzione cita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. I nostri padri fondatori, hanno voluto sancire la sacralità e l’importanza per i cittadini di lavorare, proprio scolpendo queste parole all’inizio dell’atto normativo più importante a livello nazionale.
Solo il lavoro è lo strumento che può garantire dignità, benessere personale e sociale, crescita e prosperità al popolo. Se questo concetto è innegabile, la priorità dello stato dovrebbe essere quella di garantire ai propri cittadini condizioni lavorative stabili, dignitose ed eque, indipendentemente dall’impiego svolto.
Se per decenni, come nazione, siamo riusciti ad assolvere questo primario compito, negli ultimi anni le condizioni contrattuali per molte tipologie di lavori sono nettamente ed innegabilmente peggiorate. Contratti precari, salari fra i più bassi d’Europa, poca flessibilità e minori tutele, sono solo alcuni dei problemi che affliggono molte persone al giorno d’oggi.
Proprio a tal proposito, recentemente un caro amico che svolge da anni un lavoro usurante e con condizioni contrattuali pessime, mi ha posto una domanda: come farsi licenziare con buonuscita ?Mi rendo conto che la domanda di per sé è poco chiara ma, visto che la risposta potrebbe interessare ed aiutare più persone, ho deciso di far un pò di chiarezza in merito con questo articolo. Iniziamo.
Buongiorno e bentornato caro lettore. Io sono Giuseppe, risparmiatore, investitore e fondatore del sito Vivi con Poco.it. Periodicamente fornisco articoli e spunti di riflessione per aiutarti a migliorare le tue capacità di risparmio, investimento e gestione consapevole del denaro.
In che modo può terminare un rapporto di lavoro
Parlare di licenziamento in modo generico è un errore. Prima di pensare al resto, dobbiamo far chiarezza sulla natura del licenziamento stesso. Questo infatti può essere:
- volontario: quando è il lavoratore che, per varie ragioni, rassegna le dimissioni volontarie;
- involontario: quando il lavoratore, sempre per varie ragioni, viene licenziato dal proprio titolare.
A suo volta, quando ci troviamo davanti ad un caso di licenziamento involontario, dobbiamo ulteriormente distinguere i casi in due categorie:
- per giusta causa (legittimo);
- per ingiusta causa ( illegittimo, ingiustificato).
La giusta causa si verifica quando, il benservito al sottoposto viene dato a seguito di comprovate mancanze da parte di quest’ultimo, oppure per un naturale calo di lavoro. Si parla di ingiusta causa invece, quando il licenziamento non è motivato da ragioni concrete e indiscutibili. Come sempre, non esiste una regola generica applicabile a tutti i casi. In base alla tipologia di interruzione del rapporto lavorativo, ci saranno rimborsi ed indennità differenti.

Cosa spetta al lavoratore
Dopo aver capito le tipologie di interruzioni possibili, cerchiamo di fare chiarezza su tutto ciò che spetta, o potrebbe spettare al sottoposto, quando termina un rapporto di lavoro. Ci sono fondamentalmente 4 voci economiche da considerare:
- saldo ferie e permessi arretrati;
- TFR (trattamento fine rapporto lavorativo);
- eventuale buonuscita;
- indennità di disoccupazione (Naspi).
Le prime due voci in elenco vengono corrisposte a tutti i lavoratori, indipendente dalla ragione di termine del suddetto rapporto. Essi infatti sono diritti, sanciti e normati dal contratto nazionale del lavoro.
In base all’impiego svolto ed alla categoria di C.N.L. di appartenenza, ogni anno il dipendente matura un certo numero di permessi retribuiti e di ferie pagate. Se, al momento di cessazione della collaborazione risultano ore o giorni residui, questi devono essere riconosciuti con l’ultima busta paga.
TFR (trattamento di fine rapporto)
Noto anche con il termine liquidazione, il trattamento di fine rapporto è una porzione di retribuzione spettante al lavoratore subordinato. Istituito il 21 aprile 1927 con apposita pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, consiste in un’indennità proporzionata agli anni di servizio svolti all’interno dell’azienda. In genere il suo valore economico corrisponde ad una mensilità lorda all’anno.
Esempio. Se guadagni 1000 euro lordi al mese e lavori nella stessa azienda per 14 anni, quando ti licenzi o vieni licenziato, il tuo TFR spettante ammonterà a circa 14.000 euro.
La somma sarà erogata, con le modalità previste dalla legge, in seguito alla cessazione della collaborazione fra le parti. Per i dipendenti privati il pagamento avviene solitamente entro 3 mesi, per quelli pubblici invece i tempi possono essere più lunghi (fino a 36 mesi).
E’ importante sapere che il TFR è ereditario ovvero, se dovessi passare a miglior vita, i tuoi eredi hanno il diritto di richiedere ed incassare la somma da te maturata. Sappi inoltre che, in caso di fallimento della tua azienda, non corri il rischio di perdere quei soldi.
A garanzia del TFR infatti, come previsto dal codice civile 297 art.2, nel 1982 è stato istituito un fondo di garanzia nazionale gestito dall’INPS. In caso di insolvenza di un’azienda, sarà sufficiente fare opportuna richiesta di rimborso al suddetto ente, per vedersi riconosciuta la somma dovuta.

Cos’è la buonuscita?
Finora abbiamo visto le voci che spettano sempre al lavoratore. Perché fra queste non c’è la buonuscita? La risposta è molto semplice, perché non solo non spetta a tutti, ma a livello giuridico non esiste proprio.
Mi rendo perfettamente conto che questa affermazione ti crea molta confusione. Per capire bene il concetto però, occorre fare una dovuta precisazione, o meglio ancora, fare quello che definisco la “guerra dei termini”. Molto spesso infatti, questa parola viene impropriamente usata.
L’unica buona uscita normata a livello nazionale è infatti l’IBU ovvero: indennità di buonuscita per i dipendenti pubblici. A tutti i lavoratori subordinati di realtà pubbliche (medici, infermieri, poliziotti, militari ecc) assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000, non spetta il TFR ma IBU. Il concetto è simile al tfr, cambia solamente il nome, il calcolo dell’importo e la somma massima erogabile.
Se non sei un dipendente pubblico, o se lo sei ma sei stato assunto dal 2001 in poi, molto probabilmente non hai mai nemmeno sentito parlare di IBU. A questo punto so cosa stai pensando: “ ma io conosco ammiocuggino, un mio amico, un parente ecc, che lavorava nel privato eppure ha preso la buona uscita quando è stato licenziato”.
In parte è vero, ma quella somma non si chiama buonuscita. Detto termine, non esiste proprio nell’ordinamento italiano. Per correttezza lessicale e giuridica, si dovrebbe parlare di risarcimento economico.
Questo si può ottenere in due modi:
- a seguito di eventi penalizzanti per il lavoratore;
- con un accordo fra le parti.
Facciamo alcuni esempi per chiarire il concetto. Eventi penalizzanti possono essere:
- mobbing;
- declassamenti o modifiche peggiorative delle mansioni lavorative;
- trasferimento di sede ingiustificato;
- molestie sessuali sul luogo lavorativo;
- maltrattamenti o comportamenti ingiuriosi da parte del titolare o superiore;
- mancato pagamento dello stipendio ecc.
La legge inoltre, a seguito di ingiustificato licenziamento, prevede il reinserimento del sottoposto nella sua mansione o, in alternativa, il pagamento di un risarcimento economico. Purtroppo però, come spesso accade, per far valere i tuoi diritti sarai costretto ad intraprendere una causa legale contro il tuo ex principale.

Accordo di lavoro con buonuscita
Se escludiamo gli eventi penalizzanti per il singolo lavoratore, l’altro modo per ottenere la impropriamente nota buonuscita è quello di raggiungere un accordo fra le parti. Questo può avvenire sia a seguito di contenziosi pregressi, sia pacificamente. Vediamo qualche esempio per capire meglio.
Partiamo con un caso, purtroppo, molto comune. Una fabbrica decide di delocalizzare la produzione, chiudendo uno stabilimento e lasciando a casa tutti gli operai di quel sito. La reazione dei lavoratori è immediata. Iniziano gli scioperi, le battaglie sindacali, i picchetti davanti ai cancelli per impedire il trasferimento dei macchinari, e tutti quei tristi fatti che vediamo sui telegiornali la sera. Uno degli ultimi casi noti che mi viene in mente, è quello dell’Embraco sito a Riva di Chieri (Piemonte).
Dopo 4 anni dall’annuncio dell’azienda, promesse di rilancio svanite, battaglie sindacali, proteste, cassa integrazione straordinaria ecc, i lavoratori hanno dovuto accettare il licenziamento accordandosi per una buonuscita di 7000 euro a testa. La cifra in questione corrisposta, non è un obbligo di legge, ma semplicemente un risarcimento economico concesso dall’azienda a seguito di trattative e lotte sindacali, per chiudere il capitolo e poter andare avanti con le sue scelte. Se gli operai non si fossero battuti non avrebbero avuto un euro.
Vediamo adesso un caso completamente diverso. Il signor Rossi lavora in banca da 35 anni ed inizia a intravedere il traguardo della pensione. Dopo anni di avanzamenti di carriera, scatti di anzianità ed affini, il suo stipendio è molto alto rispetto a quello di un giovane laureato neoassunto. Proprio per questo, un giorno l’ufficio del personale lo chiama e gli propone di andare in prepensionamento. Per incentivarlo ad accettare, la banca gli offre una consistente somma economica che servirà a Rossi per coprire le sue spese fino alla data del pensionamento vero e proprio.
L’offerta ovviamente, non equivale all’intero stipendio che avrebbe percepito lavorando ma è comunque molto interessante. Il nostro amico ci pensa bene e, dopo qualche conto ed attente riflessioni, decide di accettare la proposta. In questo modo la banca risparmia denaro sul lungo periodo ed il dipendente può smettere di lavorare e raggiungere l’obiettivo di andare in pensione anticipata (sperando che non arrivi un’altra riforma Fornero).
Ora, i casi in cui possono verificarsi accordi fra le parti sono moltissimi. Non starò ad elencarli tutti altrimenti l’articolo diventerebbe una piccola enciclopedia. La cosa veramente importante è che tu capisca il concetto di base ovvero che: la buonuscita altro non è che una somma di denaro riconosciuta a seguito di una trattativa.

Come si calcola
Dopo aver capito esattamente cos’è la buona uscita e come si può ottenere, vediamo come calcolare l’importo spettante.
Iniziamo a parlare dell’ IBU, che ricordo è l’equivalente del TFR spettante ai lavoratori pubblici assunti a tempo indeterminato prima del 2001. Questo si ottiene moltiplicando 1/12 dell’80% della retribuzione contributiva annua lordo (compresa la tredicesima) per il numero di anni effettivi di servizio. Dal 1 maggio 2014, la somma massima erogata sarà di 240.000 euro (non vi è limite massimo per il TFR).
L’importo verrà erogato nei modi e tempi previsti dalla legge in base alla somma spettante:
- fino a 50.000 euro= in un unico importo annuale;
- da 50.000 a 100.000 euro = in due importi annuali;
- oltre i 150.000= in 3 importi annuali, di cui la prima parte entro l’anno di licenziamento, la 2 e 3 rata entro i 24 e 36 mesi successivi.
Facciamo due esempi. Sei un insegnante ed il tuo IBU ammonta a 75.000 euro lordi. Riceverai due pagamenti entro un anno dalla data di licenziamento, il primo di 50k, il secondo con la somma residua. Secondo caso, sei un medico di base e la tua liquidazione è di 160.000 euro lordi. Riceverai 3 pagamenti, il primo entro i 12 mesi successivi di 50k, la seconda rata entro i 24 mesi e l’ultima entro i 36 mesi con la somma residua spettante.
Se invece parliamo della buonuscita intesa come risarcimento economico, non possiamo calcolare nessun importo. L’entità della somma dipenderà da moltissimi fattori, diversi da caso a caso. Capisci che, se il licenziamento avviene a seguito di mobbing subito sul posto di lavoro, è diverso dal caso in cui questo avvenga per delocalizzazione di una fabbrica. Come ho scritto nelle righe precedenti, i casi possono essere infiniti. Per arrivare a determinare un importo preciso, bisogna analizzare singolarmente le varie situazioni.
Le variabili più comuni da tenere in considerazione sono:
- licenziamento volontario o no;
- caso singolo o che coinvolge più lavoratori (vedi caso della fabbrica sopracitato);
- età del dipendente;
- anzianità di servizio;
- età al pensionamento;
- gravità dell’eventuale torto subito ecc.
Ne esistono altre, ma queste sono le più comuni e determinanti in fase di determinazione dell’ammontare spettante.

Quando non ti spetta la buonuscita?
Se hai letto con attenzione i paragrafi precedenti, dovresti essere in grado di rispondere in autonomia a questo quesito. La buonuscita non spetta nei casi in cui:
- ti licenzi volontariamente, senza aver subito torti o pressioni da parte del titolare;
- non si trova un accordo fra le parti.
Non sempre infatti, datore di lavoro e subordinato riescono a raggiungere un accordo, anche se ci sono cause legali o azioni sindacali. In questo caso bisognerà accontentarsi di incassare solamente le voci economiche previste dalla legge (liquidazione, saldo ferie e permessi ed eventuale Naspi).
Naspi (indennità di disoccupazione)
L’indennità di disoccupazione è quella misura sociale che aiuta le persone in caso di perdita involontaria del lavoro. Il suo scopo è quello di fornire una continuità di reddito per un dato periodo di tempo, in modo da sostenere il lavoratore in un momento di difficoltà. Nel corso del tempo ha cambiato più volte acronimo, durata ed importo erogato. Dal 2015 si chiama NASPI ovvero nuova assicurazione sociale per l’impiego.
Dedicherò un articolo apposito per spiegare meglio questo importante strumento sociale. Per il momento ti basti sapere che è una delle misure che spetta a tutti quei lavoratori (assunti a tempo indeterminato) che perdono involontariamente il proprio lavoro.

Anche se dovessi essere licenziato per giusta causa, hai diritto alla percezione della Naspi. Personalmente non lo ritengo assolutamente giusto ma, non essendo io il legislatore, mi astengo da considerazioni personali. Esempi di giusta causa di licenziamento da parte del titolare sono:
- furto sul luogo del lavoro;
- assenza ingiustificata;
- non portare volontariamente a termine i compiti assegnati;
- lavorare in malattia;
- tenere atteggiamenti violenti o maltrattare verbalmente superiori o colleghi;
- danneggiare o distruggere volontariamente materiale aziendale ecc.
La sua durata è variabile. Essa cambia in base al passato contributivo di ogni lavoratore. Viene corrisposta per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione effettuate negli ultimi 4 anni, per un massimo di 24 mesi.
L’importo erogato non è fisso ma corrispondente al 75% della retribuzione media imponibile, percepita nei ultimi 4 mesi di lavoro. Il tetto massimo è fissato comunque per tutti a 1360,77 euro lordi. Detto importo, viene percepito interamente per i primi 6 mesi (fino all’anno scorso erano 3), dal 7 mese in poi, l’assegno si riduce del 3% al mese fino a scadenza.
I beneficiari sono tutti i lavoratori, a tempo indeterminato, che perdono il posto di lavoro involontariamente. Se sei tu a presentare le dimissioni, o se sei un lavoratore a tempo determinato, non avrai diritto all’indennità.
Ci sono però delle eccezioni a questa regola di base. Se ti licenzi per determinate e comprovate situazioni di necessità, o per giusta causa, puoi beneficiare comunque della Naspi. A tal proposito l’Inps dichiara quanto segue:
“qualora le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore ma siano indotte da comportamenti altrui che implicano la condizione d’improseguibilità del rapporto di lavoro”, allora si ha comunque diritto all’indennità di disoccupazione.”
INPS
I casi più comuni sono quelli visti quando abbiamo parlato di risarcimento economico ovvero: mobbing, molestie sessuali, trasferimenti, mancato pagamento di stipendi ecc. A questi si aggiungono le dimissioni per cause familiari come:
- parente gravemente malato da seguire;
- neonato con età inferiore all’anno di vita.
In questi casi, anche sei tu a rassegnare le dimissioni, avrai diritto alla Naspi. Ti consiglio però di verificare sempre prima, tramite INPS o patronato, quali sono i tuoi diritti in modo da evitare spiacevoli sorprese.
Sappi che, se intendi aprire un’attività imprenditoriale o una partita IVA, puoi richiedere che il capitale totale dell’assegno ti venga pagato in un’unica soluzione. In questo modo avrai a disposizione un po’ di liquidità per iniziare la tua nuova attività lavorativa.
In conclusione
Siamo arrivati alla fine di questo articolo. Spero che i contenuti trattati ti siano stati d’aiuto per far chiarezza su un argomento importante, che troppo spesso manda in confusione le persone. Se hai dubbi, domande o richieste di chiarimento non esitare a scrivermi nei commenti. Se preferisci puoi usare l’apposita pagina Facebook o la mail ([email protected]). Ti risponderò il prima possibile.
Con questo è davvero tutto. Io ti ringrazio per l’attenzione e ti do appuntamento al prossimo articolo. Ciao.
Domande frequenti
Spero di essere riuscito a far chiarezza sull’argomento oggetto dell’articolo. Se dovessi avere ancora dubbi o incertezze sulla buonuscita, il Tfr o la naspi, ti invito a consultare la sezione delle domande frequenti sotto riportata. Magari troverai risposte utili anche per te.
Farsi licenziare per avere la disoccupazione è reato?
Dipende. Se non infrangi nessuna legge no. Se invece inizi a rubare, avere atteggiamenti violenti, danneggiare attrezzature aziendali, bestemmiare sul lavoro, insultare colleghi, titolare ecc, puoi incorrere in reati normati dal codice civile e penale. Se sei intenzionato a farti licenziare, per cambiare lavoro o vita, consiglio sempre di dialogare con il titolare per trovare un accordo.
Buonuscita e tfr sono la stessa cosa?
No. Il tfr (trattamento di fine rapporto) è una somma di denaro spettante a tutti i lavoratori, regolarmente normata e prevista dal contratto nazionale del lavoro. A grandi linee corrisponde ad una mensilità lorda all’anno. La buonuscita è un indennizzo economico facoltativo, derivante da un accordo fra le parti a seguito di contrattazione.
Meglio licenziarsi oppure farsi licenziare?
Ovviamente farsi licenziare. L’indennità di disoccupazione nota come Naspi, salvo rare e precise eccezioni, spetta solamente ai lavoratori a tempo indeterminato che perdono l’impiego a causa di licenziamento involontario. Se di tua spontanea iniziativa decidi di rassegnare le dimissioni, molto probabilmente non ne avrai diritto, e perderai due anni di assegno.
Thanks for your blog, nice to read. Do not stop.
Buongiorno,
se vengo licenziato perchè la società (srl privata) in cui lavoro chiude e la stessa società aggiunge al TFR una somma aggiuntiva, potrò comunque avere diritto alla NASPI ?
Grazie mille
Buongiorno, non sono un consulente del lavoro ma a mio modesto parere si. La buona uscita non interferisce con l’indennità di NASPI
Grazie per la risposta !
Salve, io un problema col datore di lavoro, perché vuole incrementati il lavoro forzato, quando il sottoscritto pet problemi di salute non può svorgelo, e con questo lui mi ha messo sulla graticola. Se lui non mi vuole più in azienda cosa debbo fare?
Ciao Salvatore, premetto che non sono un consulente di lavoro. Il consiglio migliore che mi sento di darti è quello di rivolgerti ad un sindacato o meglio ancora ad un avvocato per tutelare la tua persone. Ovviamente per far si che questo avvenga al meglio devi presentare certificati medici dettagliati di tutti i tuoi problemi di saluti.
Se vengo licenziata con 3 lettere di richiamo per assenza ingiustificata ho quindi diritto ala naspi corretto ?? Questo modo di licenziamento potrà influire sul mio prossimo lavoro ? Verrà visto che mi hanno licenziata per tali motivi?
Buongiorno Alessandra, si è corretto. Anche in caso di licenziamento per giusta causa hai diritto alla Naspi. Per quanto concerne l’influenza che tale causa di licenziamento ha su un eventuale lavoro futuro, sicuramente non aiuta. Soprattutto se il nuovo ipotetico datore di lavoro chiede referenze al vecchio. Valuta tu se inserire il nome dell’azienda da cui ti hanno licenziata, io non lo farei.
Buona continuazione di giornata, un abbraccio